Mentre l’emergenza sanitaria da coronavirus tocca il suo apice (o almeno c’è di che augurarsi che non vada troppo oltre i numeri di questi giorni), cominciamo a chiederci non tanto ‘quando’ torneremo a vedere tennis, bensì ‘se’ torneremo a vedere tennis nel corso del 2020. Tra chi spera e chi ormai dà per scontato si debba rimandare tutto al 2021, ci aggrappiamo alla competizione più lontana della stagione, all’unica sulla quale per il momento non sono state ventilate ipotesi di spostamento. Sperando che, a novembre inoltrato, tutto quello che stiamo vivendo possa essere soltanto un ricordo. Doloroso, ma pur sempre un ricordo.
Le Finals di Coppa Davis si disputeranno ancora a Madrid, dal 23 al 29 novembre, sempre in quella ‘Caja Magica’ che pochi mesi fa ha ospitato la prima edizione del nuovo format. Un evento che ha diviso il pubblico e gli addetti ai lavori più o meno a metà: tra coloro che lo hanno accolto con curiosità e chi invece non ne voleva nemmeno sentire parlare. L’importante, in ogni caso, era esserci. Perché per giudicare un evento come questo non ci si può accontentare di stare seduti in poltrona e ascoltare pareri altrui. Bisogna viverlo da dentro. Prima di capire cosa ci attende il futuro, ecco dunque 10 curiosità che ci siamo portati a casa, e che ricorderemo, della prima edizione vissuta in prima linea.
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1 – La saggezza di Shamil Tarpischev, capitano russo, impassibile di fronte alle crisi di nervi di quelli che potrebbero essere i suoi nipoti, Rublev e Khachanov, i quali a un certo punto volevano centrare un record del mondo: prendersi un warning nello stesso preciso momento. Del resto, avere un capitano di 71 anni, che ha vissuto la transizione tra Unione Sovietica e Russia ed è rimasto sempre al suo posto, servirà pure a qualcosa.
2 – Novak Djokovic peggiore in campo nel doppio perso dalla Serbia, forse, non se lo aspettava nemmeno il più esagitato tifoso di Rafa Nadal. Invece è accaduto davvero, e Troicki a momenti faceva la figura del salvatore della patria, lui che era arrivato a Madrid da semi-pensionato. Peccato che quando ci sia stato da chiudere, il buon Viktor abbia balbettato. E se ne sia tornato in Serbia con l’etichetta (immeritata) di spalla inadatta per la vicenda. Lui però l’ha presa bene: in conferenza stampa è scoppiato a piangere dicendo che questo è il peggior momento della sua vita. E sì che di momenti brutti ne ha passati diversi.
3 – Ah, l’atmosfera Davis. Da sempre, da che tennis esiste, si usa questa frase per definire un match giocato di fronte a tribune piene, vivaci e partecipi. Dopo le Finals di Madrid, vista l’affluenza del pubblico in certi incontri, si potrà usare anche con il senso opposto: ah, l’atmosfera Davis, con quei quattro gatti sugli spalti…
4 – I tifosi olandesi sono sempre uno spettacolo nello spettacolo: vestiti con degli improbabili pantaloni coi disegnini dei mulini a vento e degli zoccoli, con il cappellino (o la cravatta!) arancione e tanta voglia di fare caciara, hanno accompagnato i loro giocatori nelle due partite del girone come nemmeno gli spagnoli con Nadal. Partite che, giusto per rendere l’idea, hanno perso. Ma vedere Tallon Griekspoor (!) che porta al tie-break del terzo Andy Murray ed esce dal campo con rimpianti, merita da solo il prezzo del biglietto e della trasferta.
5 – Vasek Pospisil due settimane prima dell’inizio era il quarto singolarista del Canada, e forse persino Brayden Schnur nutriva in segreto qualche speranza di scendere in campo al posto suo. Invece è finita che Milos Raonic non è andato a Madrid, che Felix Auger-Aliassime ci è andato da mezzo infortunato e che Pospisil ha preso in mano il team nordamericano riuscendo, nell’ordine, a: mettere a tacere le ambizioni di Fognini e dell’Italia, fare molto ma molto meglio dei vicini americani, portare i due punti della vittoria con l’Australia. A chi parla di sorpresa, però, Vasek dovrebbe ricordare il suo best ranking: numero 25 Atp nel 2014, quando il newcomer del Tour era lui.
6 – I due record della nuova Davis sono arrivati tutti in un giorno, mercoledì 20 novembre (con sconfinamento abbondante nel 21). E sono pure arrivati sullo stesso campo, il 2, quello dedicato all’ape operaia Arantxa Sanchez. Prima il 20-18 del tie-break con cui la Germania ha battuto (ma non eliminato) l’Argentina; poi la partita chiusa all’orario più estremo, le 4.04 del mattino. Ce la ricorderemo bene, perché Italia-Usa sembrava una di quelle sfide interminabili della Serie A1 nazionale che non vogliono finire mai, e dove a un certo punto anche i tifosi cominciano a sperare che succeda qualunque cosa, anche una invasione aliena, purché finisca.
7 – I calcoli per capire chi sarebbero state le due migliori seconde. Ci sono giornalisti che hanno chiuso la sala stampa a notte fonda parlando di percentuali e game vinti/persi, e l’hanno aperta il giorno seguente parlando di percentuali e game vinti/persi. A meno che si voglia aggiungere a ogni finale di Davis un corso di matematica e statistica, sarebbe meglio ripensare la questione delle due migliori seconde, decisamente poco tennistica.
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8 – Calcio-tennis. Anche chi non sa nulla di pallone e pensa che Gerard Piqué sia un attore di soap opera argentine, entrando alla Caja Magica sotto alla scritta ‘World Cup of Tennis’ avrebbe avuto qualche sentore dell’influenza calcistica sulla Coppa Davis 2019. Un’idea bizzarra ma confermata dalla app ufficiale dell’evento, dove la parola ‘draw’ non si leggeva da nessuna parte, sostituita dalla tipica espressione tennistica ‘knockout phase’. Come se Roger Federer andasse a dire alla Fifa che la finale dei Mondiali in Qatar la vincerà chi arriverà prima a sei gol con due di vantaggio sugli avversari. Boh.
9 – Toni Nadal dice che Gerard Piqué è stato coraggioso a proporre questa rivoluzione. Dice che pure lui stesso, Toni, è un nostalgico, e che però quella Davis di prima non funzionava e quando una cosa è rotta, o la si butta via o la si aggiusta. Quindi era giusto provare ad aggiustare l’Insalatiera che stava per andare in cocci. Toni Nadal ammette che ci sono stati dei problemi nella gestione degli orari, ma dice che Galo Blanco, Albert Costa e soci sapranno sistemarli. Toni Nadal dice che Rafa sostiene la competizione, adora questo format ed è felicissimo che si giochi in Spagna. La conclusione è che anche Toni Nadal, sempre severissimo con Rafa, può diventare più morbido se alle prese con l’amor di patria.
10 – Le presenze fantasma: il Belgio di David Goffin e dello squaletto Darcis, la Francia di Monfils e Tsonga, il Cile dei talenti Garin e Jarry, la Croazia di Borna Coric. Vittorie poche, delusioni tante. Le tribune spesso vuote (e vabbè, in Belgio son pochini, mentre arrivare dal Cile è lunga), i media generalmente disinteressati. Si staranno forse chiedendo quanto era bella la buona vecchia Davis?
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Il sorteggio effettuato lo scorso 12 marzo, quando già l’emergenza coronavirus era deflagrata violentemente, in Italia e non solo, ci ha fatto tornare per qualche ora sull’attualità del tennis giocato. E sempre quel sorteggio è l’unico appiglio che abbiamo oggi per guardare al futuro del tennis in questo 2020 sospeso e fuori dal tempo. Ecco dunque che con la mente voliamo già a novembre, dal 23 al 29, quando dovremmo – ormai il condizionale è richiesto in ogni caso – assistere alla seconda edizione delle Finals con la nuova formula. Vediamo dunque 5 motivi per i quali sarebbe il caso di tornare a Madrid. Un discorso che vale anche per coloro che si matengono scettici – a ragione o a torto – in merito al format.
1 – L’Italia – Non ne facciamo una questione di orgoglio, perché l’orgoglio di essere italiani ce lo consegnano ogni giorno coloro che lottano in prima linea negli ospedali. Però, quando tutto questo avrà avuto una fine, torneremo a farci trascinare anche dallo sport, e nel caso dai nostri tennisti. I quali, non dimentichiamolo, prima della pausa erano tra i grandi protagonisti del Tour. Nel 2019 la trasferta spagnola non andò bene, ma la rivincita potrebbe non tardare. Fognini, Berrettini, Sinner, ma – perché no – pure Sonego, Travaglia, Mager o chissà chi altro, potrebbero regalarci un risultato davvero importante. Si partirà da un girone abbordabile (con Usa e Colombia), e la fiducia che potrebbe derivare dalla qualificazione potrebbe essere un volano per una settimana importante. Stiamo sognando? Forse, ma in questo momento si può e si deve.
2 – Capire cosa sarà cambiato – Fin da subito, quando ancora si stavano giocando i match della prima edizione, gli organizzatori avevano ammesso di aver fatto degli errori. Non che ci volesse un genio, per capirlo, ma un’ammissione di responsabilità è sempre ben accetta. Si sa che ci saranno più campi, ma i dettagli delle novità 2020 devono ancora emergere. Tornare per farsi un’idea dei correttivi apportati da Piqué e compagnia sarà quasi un obbligo morale: una seconda chance non si nega a nessuno.
3 – I grandi da vicino – La certezza è che mancherà Roger Federer, perché la sua Svizzera, da tempo, non è più tra le protagoniste della competizione. Gli altri, però, ci saranno tutti, a patto che lo stravolgimento del calendario non vada a interessare pure quella settimana. Ci sarà senz’altro Rafa Nadal, che alla sua Nazionale ha (quasi) sempre dedicato anima e corpo, e che nel progetto della nuova Davis ci ha creduto (o dovuto credere, ma nella sostanza cambia poco) fin dal principio. Ci sarà, probabilmente, anche Novak Djokovic, per prendersi la rivincita dopo la delusione del 2019. Ci saranno Dominic Thiem e la sua Austria; ci saranno la Gran Bretagna e (forse) Andy Murray; ci saranno i Next Gen canadesi e i talenti russi. Insomma, ci saranno i grandi.
4 – Le emozioni – Ok, magari non sarà più la Davis di prima, non potrà regalare quelle stesse emozioni. Ma ogni punto, anche con questo nuovo format, è vissuto in maniera diversa nel momento in cui si veste la maglia del proprio Paese. Vale per i giocatori, ma vale allo stesso modo per chi sta sugli spalti. Ci si ritrova, senza pensarci, a mangiarsi le unghie per la tensione, a cercare di spingere con il sentimento quella volèe di rovescio per fare in modo che l’avversario non ci arrivi. E pure a sentirsi un po’ giù di morale dopo una sconfitta, come se a perdere non fosse stata solo la squadra in campo.
5 – Madrid – Sì, uno dei motivi per tornare a Madrid sarà proprio la stessa Capitale di Spagna. Una città che nei giorni dell’emergenza sta soffrendo come poche altre nel mondo, e che sarà bello ritrovare aperta, vivace, seppur profondamente ferita. Camminare per il Barrio de Las Lettras, fare una passeggiata a Casa de Campo, mangiarsi le tapas nel barrio La Latina, sarà non solo un esercizio di ritrovata normalità, bensì un aiuto concreto a un luogo che avrà bisogno di rinascere e ripartire a doppia velocità. Come l’Italia, come il tennis.