Fare comunicazione oggi è una sfida. Più difficile di quanto potesse esserlo una decina di anni fa, ma pure tanto più stimolante. Perché i nuovi media hanno dato a chiunque la possibilità di esprimersi in una piazza virtuale pronta ad accogliere ogni tipo di teoria, comprese quelle più bizzarre. E, per questo, conta molto più di prima cercare di far notare le differenze, di far emergere la qualità. Altrimenti il rischio, perché di rischio si deve parlare, è che tutto scivoli verso il basso, verso la mediocrità. Ne parlava Umberto Eco con la sua denuncia, sulla parola data ‘a legioni di imbecilli’, ma ne parla pure il fondatore di Twitter Evan Williams, che arriva a una sentenza lapidaria: ‘internet non funziona più’. In sostanza, un fallimento. Laddove si cercava la democrazia delle opinioni condivise, è emersa la dittatura dell’ignoranza.
Ma è davvero tutto così nero come sembra, sul pianeta web? Forse no. Perché c’è una sorta di istinto di sopravvivenza che, se vale per il genere umano, deve valere pure per un lavoro così delicato come quello di informare e comunicare. Probabilmente, delle famigerate fake news e delle informazioni date un po’ così come capita, non ci libereremo mai del tutto. Ma è altrettanto probabile che prima o dopo la massa faccia sempre più selezione, più attenzione a certe piccole e grandi differenze che adesso passano troppo spesso in secondo piano. Nel frattempo, siamo nel bel mezzo – come direbbe quel grande cantautore che è Max Manfredi – dell’ora del dilettante. Quel momento in cui chi non ha alle spalle un percorso formativo adatto a fare un certo lavoro, crede comunque di poter essere all’altezza del compito. Per sue convinzioni personali (eccesso di autostima) o perché là fuori c’è talmente tanto pressapochismo che ‘uno più o uno meno non fa differenza’. In sostanza, la scarsa qualità non si nota, non dà fastidio.
Così, ecco nascere come funghi siti web gestiti (gestiti?) da post-universitari che devono occupare il loro tempo libero, o peggio ancora da giornalisti (giornalisti?) che si sono stufati delle loro collaborazioni sottopagate per il mondo – considerato mezzo moribondo – della carta stampata. Capita, persino durante i grandi eventi sportivi, di vedere la sala stampa popolata da personaggi in cerca d’autore, che hanno l’aria di chi ha mille cose da fare e danno la sensazione di non capirci poi un granché. Personaggi che in un mondo non giusto, ma almeno normale, avrebbero dovuto fare una certa gavetta per capire come scrivere un articolo, come impostare un’intervista. Semplicemente, come muoversi senza fare la figura di un elefante in una cristalleria.
L’ora del dilettante, in realtà, non spunta dal nulla, ma è figlia primogenita dell’ora del dinosauro. Quel momento storico che vede attempati giornalisti dedicarsi ai nuovi media con le stesse dinamiche che li hanno avvicinati, una trentina di anni fa, al quotidiano da comprare all’edicola. Come spalmare della marmellata su un piatto di carbonara. Forti di contratti blindati e – a volte – pure di una pensione generosa, i dinosauri (di cui si parla in una scena memorabile del film ‘La meglio gioventù’) si muovono con la sicurezza di chi conosce il mondo e con la consapevolezza di poter sbagliare all’infinito, che tanto saranno sempre e comunque lì. Per impartire lezioni (?) ai giovani dilettanti, di cui a volte non ricordano nemmeno il nome.
Il circolo vizioso è talmente chiuso e consolidato che trovare un antidoto non è esattamente la cosa più semplice del mondo. Ma basta un po’ di buona volontà per arrivarci. Gli attori, però, non possono essere all’interno dei media. Gli attori del cambiamento devono essere gli utenti, quelli che le informazioni le cercano. Sta a loro capire dove c’è qualità, sta a loro premiarla leggendo ciò che vale la pena di essere letto, e lasciando il resto alla memoria elettronica del web. Che tritura tutto alla velocità della luce. Un segreto che non è un segreto, ma è un percorso dove l’educazione al cambiamento è il primo passo, condizione necessaria per tornare a far pesare le due parole chiave del mondo glocal: comunicazione e informazione. In assenza di questo cambiamento, avrà avuto ragione Evan Williams: internet sarà stato un fallimento.
Cristian Sonzogni
CSO – GAME Comunicazione & Media Srl