Quando si parla di marketing e comunicazione, comandano i numeri. Si può confezionare un prodotto bellissimo, in teoria, ma fallimentare nella pratica. O si può semplicemente dare troppa importanza a uno strumento, lasciando da parte quelli che contano. Per esempio i video, l’immagine in movimento. Basta dare un’occhiata alle statistiche di qualsiasi social network per verificare che il mondo tutto, senza eccezioni, va in quella direzione. L’attenzione del pubblico la si conquista molto più facilmente così, con un video ben costruito, rispetto a quanto si potrebbe fare con testi e fotografie. A qualcuno la direzione non piace, ma questo è un aspetto secondario. Comandano i numeri, e per chi vuole promuovere un prodotto, un’azienda o un circolo sportivo, le dinamiche da rispettare sono ormai piuttosto chiare e definite: chi non le segue rimane indietro. Non è un’ipotesi, ma una certezza. In conseguenza di tutto questo, un contratto di ufficio stampa che non include la realizzazione di pillole o di veri e propri servizi relativi all’attività in questione, rischia di rimanere zoppo. Un investimento a metà, col rischio concreto che a esser dimezzato sia pure il risultato. ‘Video first’ sono ormai due paroline chiave della comunicazione, lo diventeranno sempre di più in futuro e per questo bisogna seguire poche regole per accoglierle nel nostro piano di azione, senza averne paura.
Prima regola: no improvvisazioni
Si tratta di una regola che vale sempre, in ogni ambito lavorativo. Ma vale ancora di più nella comunicazione e viene elevata al cubo se parliamo di video. Di fronte alle immagini siamo tutti più vulnerabili, c’è una maggiore sensibilità dello spettatore e una facilità nel riconoscere ciò che è fatto bene da ciò che è improvvisato, ciò che viene realizzato con un approccio professionale da quello che è evidentemente amatoriale. Fare il videomaker, o anche solo l’operatore, non è un mestiere che si inventa. I telefoni cellulari di ultima generazione sono delle specie di videocamere in miniatura, che spesso consentono di confezionare dei prodotti più che accettabili. Ma avere a disposizione quel mezzo non significa saperlo utilizzare. Regola nella regola, dunque: non basta la disponibilità dello strumento per dare a chi lo usa la garanzia di un esito sufficiente per essere venduto ai propri potenziali clienti. Potrà andare molto bene per uso interno, non per il resto del pubblico. Può sembrare una banalità ma ci sono troppi esempi che ci devono suggerire di non darla per scontata. Al contrario: più il mezzo a disposizione è di qualità, più servono competenze per consentire una performance adeguata. Altrimenti è come dare una Ferrari a una persona che non sa guidare e pretendere che non si schianti alla prima curva.
Seconda regola: spazio alle emozioni
Ciò che viene coinvolto attraverso i video è quello che viene chiamato ‘cervello emozionale’. Guardare e leggere, per esempio, sono azioni profondamente diverse anche a livello cerebrale. “Nella lettura di un testo – spiega Francesco Giordano, neuropsichiatra e psicoanalista – è coinvolta essenzialmente una forma d’intelligenza più evoluta, sequenziale, la quale richiede una successione rigorosa che articola e analizza i codici grafici disposti in linea; vengono trattate più informazioni, ma stabilendo una successione, una gerarchia, un ordine. Quando guardiamo un’immagine, invece, utilizziamo principalmente un’intelligenza simultanea, dove non è possibile dire – in un primo momento – cosa guardiamo prima e cosa guardiamo dopo”. Basterebbero queste poche a righe a spiegare perché la comunicazione video non vada trattata con superficialità, e soprattutto come debba seguire logiche ben diverse da quella scritta. Quando si realizza un contenuto video, che sia di stampo giornalistico o commerciale, si parla prima alla pancia delle persone, che non alla testa. Si parla prima all’istinto che alla ragione. Se una persona non la si cattura nei primi istanti, la si perde. Se una persona non trova in quelle immagini i tempi, i colori e i suoni che si attende o che la sorprendono positivamente, ci abbandonerà e non farà più ritorno. Resta, ovviamente, una grande differenza tra un prodotto che racconta un evento (o la storia di un personaggio) e uno che si pone come obiettivo la vendita. Soprattutto a livello di scrittura.
Terza regola: serve un team
Proprio dalla scrittura partiamo per arrivare alla terza regola, non meno importante delle precedenti. Per realizzare un video efficace non basta una persona, serve il lavoro di un team. Chi ha le competenze tecniche per gestire la camera difficilmente avrà le stesse competenze linguistiche necessarie a produrre un testo che unisca essenzialità e contenuto. E il lavoro di scrittura che spesso nei video è trascurato, è invece determinante. Parliamo sia di scrittura dei testi che poi saranno letti, il cosiddetto ‘voice over’ (o voce fuori campo, di chi racconta ma non si vede), sia della scrittura di una sorta di trama, il canovaccio che il servizio in questione dovrà seguire per avere un senso. Non importa che si parli di 30 secondi, di 2 minuti o di mezzora. Anzi, spesso sono i contenuti più brevi che necessitano di maggiori competenze per diventare efficaci. Un esempio classico? Gli spot pubblicitari. In tutto questo, ci sono altri aspetti che dipendono dal budget a disposizione, ma che in ogni caso non possono essere trascurati: la scelta delle musiche (attenzione ai diritti!), l’uso di mezzi particolari come i droni, che richiedono qualcuno in grado di pilotarli e in possesso dell’apposito patentino (ma occhio ai permessi!). E ancora il grafico in grado di aprire e chiudere il servizio confezionando il prodotto nella migliore maniera possibile. Senza dimenticare che questa è soltanto la base. Chi lavora nel mondo della pubblicità, sa perfettamente che per uno spot di qualità servono ore e ore di impegno di tante persone. Senza la presunzione di voler confezionare un piccolo film, dobbiamo però tenere ben presente che chi guarda, attraverso quel video, si farà un’idea dura a morire del prodotto o del servizio che vogliamo proporre.